Srebrenica, the dna enigma
Srebrenica: l’enigma del DNA – Massimo Valicchia
L’undici di ogni mese decine di donne sfilano per le vie della città vecchia di Tuzla, in Bosnia. Sfilano una di fianco l’altra portando un lungo cordone di cuscini vuoti con su ricamato un nome ed una data. Arrivate nella piazza centrale della città pregano, poi si salutano e se ne vanno alla spicciolata. Ogni mese ricordano i loro mariti, figli, parenti trucidati a Srebrenica e non ancora identificati. Srebrenica è una piccola cittadina a pochi chilometri dal fiume Drina, confine naturale fra Bosnia e Serbia. Qui l’11 luglio del 1995, dopo l’ingresso in città del generale serbo Mladić, circa 10000 uomini mussulmani separati da donne e bambini sono stati trucidati senza essere difesi dal contingente ONU incaricato di schermare la popolazione dall’avanzata dell’esercito serbo. Il più giovane aveva 13 anni, il più anziano 84. I loro corpi gettati in fosse comuni che, subito dopo la fine della guerra, i criminali che avevano partecipato al massacro, per paura di ritorsioni, hanno riaperto con mezzi pesanti e spostato in altre fosse comuni.
A Tuzla, non lontano dalla piazza centrale della città si trova la sede dell’ICMP (International Commission on Missing Persons) che si occupa di dare un nome ai corpi ritrovati nelle fosse comuni dopo la guerra. Un enorme frigorifero di 250 metri quadrati ospita, su 867 mensole, 3.000 sacchi con i resti umani non ancora riconosciuti del genocidio di Srebrenica. Lento e complesso è il lavoro di riconoscimento. L’eliminazione dei corpi per nascondere le prove fu meticolosa. D’un uomo si trovò un braccio a Srebrenica e una gamba in Kosovo. Qui si tenta di ricomporre i resti dei corpi ritrovati nelle fosse comuni. Emina Kurtalic, Project Manager del Podrinje Identification Project, mi spiega che la maggior parte dei resti proviene da fosse comuni secondarie. Spesso in uno stesso sacco si trovano resti di diversi corpi. L’identificazione attraverso i vestiti e gli oggetti non è definitiva. Molti uomini hanno provato a raggiungere zone protette scappando per i boschi intorno Srebrenica, qui hanno potuto indossare i vestiti dei compagni morti durante il tragitto. Anche questo rende difficile l’identificazione da parte dei parenti. L’identificazione di una persone avviene attraverso oggetti personali, vestiti, e soprattutto grazie al dna. Sempre a Tuzla ha sede un altro dipartimento dell’ICMP: l’Identification Coordination Division. Qui viene estratto il dna dalle ossa ritrovate e confrontato con quello dei parenti ancora in vita. Più la parentela è stretta e più sarà semplice l’identificazione. Edin Jasaragic, Il capo dipartimento, mi mostra il Database che contiene abiti, documenti, testimonianze su ogni persona scomparsa. Attraverso questo software si risale all’identità della persona. Una volta riconosciuti i corpi vengono seppelliti nel memoriale di Potočari. Di fronte a questo cimitero resta l’ex fabbrica di accumulatori che durante la guerra è stata la sede dell’ONU e ha visto l’ultimo genocidio del XX secolo.